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Sulla presunta università del merito…

29 Luglio 2009
“La meritocrazia è la più alta forma di democrazia – ha detto il ministro Gelmini. Purtroppo l’appiattimento verso il basso avviato dal ’68 fa sentire ancora i suoi effetti disastrosi”.
 
In queste due righe si condensa praticamente tutto lo spirito della riforma del sistema universitario e, più in generale, di quello dell’istruzione. La retorica ministeriale e confindustriale si ammanta di spirito presuntamente meritocratico e di toni francamente antidemocratici. I difetti, le lacune delle nostre università deriverebbero da una sorta di peccato originale: quel ’68 considerato uno spartiacque tra un passato mitico e glorioso ed un presente misero e miserevole. Eh sì, perché la democratizzazione dell’università, frutto delle battaglie di quegli anni, avrebbe portato ad una degenerazione degli atenei. Insomma, più studenti meno qualità.
 
Ma non dobbiamo pensare che dietro tutto ciò ci sia semplicemente una nostalgia per il passato; governo, Confindustria e intellettuali vari non sono una novella aristocrazia. Denigrando la realtà attuale e richiamandosi, molto spesso solo implicitamente, al passato, in realtà cercano la costruzione di un qualcosa di nuovo che meglio si adatti alle cangianti esigenze del padronato. Hanno bisogno di una maggiore chiarezza, di una maggior facilità nel reclutamento della futura classe dirigente senza dimenticare che i tempi sono cambiati e che dalle accademie devono venir fuori anche i futuri lavoratori subalterni.

 

Ed ecco che i meccanismi di selezione diventano centrali. E quale miglior strumento se non quello economico? La selezione è uno strumento che si esercita a diversi gradi e su diversi soggetti: è rivolta contro gli studenti (numeri chiusi, diritto allo studio inesistente, aumento delle tasse universitarie) ma anche agli atenei (tagli ai finanziamenti, campagne denigratorie). Nei progetti del Processo di Bologna c’è anche l’obiettivo della divisione, all’interno del sistema universitario europeo, tra poli di eccellenza e atenei di serie B. Di qui i ranking internazionali, le famose classifiche: e il nostro ministero non si è lasciato scappar via l’occasione di redigerne una tutta sua per valutare il sistema nazionale. Per questo, prima ancora di discutere dei criteri di valutazione del merito (esercizio in cui si stanno dilettando tutti, basti vedere i quotidiani di questi giorni), servirebbe mettere in discussione i pilastri della riforma, nonché le sue basi ideologiche.
 
Altrimenti ci troveremo inermi dinanzi ad affermazioni come quella che segue: “L’eccellenza, le qualità individuali cominciano a essere rivalutate rispetto al peso che il reddito ha sempre avuto nel diritto allo studio” (Giulio Benedetti, Corsera, 5 agosto 2009). Sembra che il giornalista sospiri: “Ed era ora!”. Per noi, convinti che il richiamo alla meritocrazia sia mera demagogia in un sistema fondato sulle diseguaglianze, queste “novità” porterebbero solo ad un’ulteriore separazione tra chi ha il merito di esser nato e vissuto in condizioni agiate e chi questo merito non l’ha avuto e mai l’avrà.
 


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