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“In Israele il sostegno di massa all’operazione comincia ad erodersi” di Michel Warschawski

12 Gennaio 2009
di Michel Warschawski* 
traduzione a cura del Collettivo Autorganizzato Universitario

 
Secondo un sondaggio pubblicato dal quotidiano Maariv, alla vigilia dell’avvio della fase terrestre dell’operazione “Piombo fuso”, il 3 gennaio, il 95% degli ebrei israeliani sosteneva l’offensiva della striscia di Gaza , tra cui l’80% “senza alcuna riserva”.

 

Il militante pacifista anticolonialista Michel Warschawski, presidente del movimento israeliano Centro di informazione alternativa, analizza l’evoluzione dell’opinione pubblica e fa il punto sullo stato dei “sostenitori della pace” in Israele.

L’offensiva militare sembra trovare un sostegno molto vasto tra la popolazione israeliana. Si può dare ancora ascolto al movimento pacifista?
Sabato 3 gennaio, a Tel Aviv, eravamo tra i 6.000 e gli 8.000 a manifestare per la cessazione delle ostilità. Finora il punto più alto della nostra mobilitazione. Molto più di quanti ne avevamo mobilitati durante la seconda guerra del Libano nel 2006, ma ancora poco rispetto alla mobilitazione della prima guerra del Libano [nel 1982]. La popolazione araba (il 20% della popolazione israeliana) è mobilitata permanentemente. La grande manifestazione di sabato a Sakhnine in Galilea ha raccolto almeno 50.000 persone, il che non è poco. Ci sono tensioni crescenti tra le due comunità. Il razzismo inter-israeliano, che si sviluppa già da un po’ di tempo, si è particolarmente inasprito in questi ultimi dieci giorni.

Se questa guerra fosse stata condotta da un presidente del Likoud, Benyamin Nétanyahou, immediatamente ci sarebbero state decine di migliaia di persone in strada. Ma quando i laburisti sono al potere, i “sostenitori della pace” non esistono più.

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Come si evolve l’opinione israeliana dopo l’inizio della fase terrestre delle operazioni?

Il sostegno di massa, quasi totale, dell’opinione israeliana all’operazione ha cominciato ad erodersi con l’inizio dell’offensiva terrestre, perché le persone sono coscienti che può costare delle vite. Oggi si è a sette morti tra gli israeliani, e l’opinione si sta muovendo sensibilmente. Si assiste ad un mutamento graduale dell’opinione pubblica, che comincia ad aspettarsi che ad Israele sia imposto un cessate il fuoco.
Negli editoriali dei quotidiani, il tono è cambiato. Alcuni famosi giornalisti, che reputavano che questa guerra fosse giustificata, persino inevitabile, oggi spiegano che bisogna utilizzare il rapporto di forza sul campo per ottenere un accordo politico con Hamas. Questa offensiva che mirava a neutralizzare Hamas ha dunque avuto per effetto d’accordargli un effettivo riconoscimento… Una parte della classe politica, che non è insensibile a questa opinione pubblica, suggerisce di mettere finalmente fine agli scontri. Il governo israeliano sa che a breve termine è inevitabile un cessate il fuoco, ma chiede ancora un po’ di tempo per completare il “lavoro”.

Qual è, secondo lei, l’obbiettivo dell’esercito israeliano?

Il governo e l’esercito, scottati da quanto accaduto in Libano nel 2006, si sono ben guardati dal fissare un obbiettivo definito. Non si è mai sentito parlare nelle dichiarazioni ufficiali di uno sradicamento di Hamas come invece era avvenuto per Hezbollah, perché sanno che ciò è impossibile. Parlano piuttosto di “indebolimento”, di “marchiare col fuoco” le mentalità, ossia di terrorizzare la popolazione al punto da farle accettare che siano presi dei provvedimenti per mettere fine ai lanci dei missili.

In generale, qual è oggi lo stato dei “sostenitori della pace” in Israele?

Riprendo la metafora di un grande giornalista israeliano : il movimento della pace in Israele è una bicicletta con una ruota grande ed una ruota piccola. La ruota grande, rappresentata da “La Pace ora” e dal movimento laburista, era capace di mobilitare nei momenti buoni centinaia di migliaia di persone. La ruota piccola, rappresentata dalle forze più radicali, ne mobilita tra le 5.000 e le 10.000 secondo i periodi. Questo meccanismo è stato estremamente efficace negli anni ’80. Nel momento della prima guerra in Libano e poi dell’Intifada, la ruota piccola si metteva molto rapidamente in movimento e trascinava la grande con lei.
Oggi, la ruota piccola, sebbene più debole di prima è ancora attiva e visibile, ma il problema è che non c’è più la ruota grande. Il movimento della pace ha cessato di esistere. E’ la tragedia della società israeliana.

Perché è scomparsa questa fede nella pace?

Al suo ritorno da Camp David, nell’agosto del 2000, Ehoud Barak ha tenuto un discorso totalmente mistificatore sull’assenza di dialogo da parte palestinese. Nella seconda parte del suo discorso, diceva di avere smascherato il vero piano di Arafat, che secondo lui mirava ad “affondarci”. Questo discorso ha distrutto in poche settimane il movimento della pace, che non si è mai più riavuto.
Nel 2001, l’opinione pubblica israeliana moderata ha cominciato a riprendersi dagli effetti di questo discorso quando è arrivato l’11 settembre 2001, che ha globalizzato lo slogan “non ci sono interlocutori”. Si era ormai davanti una minaccia esistenziale rappresentata dall’Islam militante di cui i Palestinesi costituivano la prima linea del fronte. Questo spiega lo stato di assedio a Gaza poi l’offensiva militare. E’ l’unione di questi due fattori che spiega perché non c’è più un movimento di pace capace di avere un impatto. Noi oggi abbiamo ancora un discorso, ma nessuna presa sulla politica di governo.

*presidente del movimento israeliano Centro di informazione alternativa


Dichiarazione  raccolta da Soren Seelow. Articolo pubblicato su Le Monde, 07.01.09

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