verso il 25 Aprile… “Chi controlla il passato controlla il futuro”
“CHI CONTROLLA IL PASSATO CONTROLLA IL FUTURO”
RISCRITTURA DELLA STORIA E CRIMINALIZZAZIONE DEL DISSENSO NELL’UNIONE EUROPEA
a cura Collettivo Autorganizzato Universitario
Lo scorso 2 aprile il parlamento europeo ha approvato una risoluzione che sancisce l’equiparazione di nazismo, fascismo e comunismo. Questa risoluzione si basa sul revisionismo storico più sfacciato, spiana la strada ad un uso sempre più indiscriminato del "reato di opinione", estromettendo dal dibattito storico-politico ed imbavagliando chiunque esprima parere contrario alla Verità di Stato che è stata costruita. A pochi giorni dall’anniversario della Liberazione ci sembra fondamentale ricordare chi fu vittima e chi invece carnefice e quali realmente furono le forze capaci di liberare l’Italia e l’Europa dal nazifascismo.
di seguito una nostra riflessione in merito alla risoluzione…
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Un’occasione per fare queste profonde riflessioni ci è offerta da una Risoluzione approvata il 2 aprile 2009 dal Parlamento Europeo. Accolta favorevolmente da 553 deputati (con soli 44 no e 33 astensioni), degna dunque di tutta la nostra considerazione, la Risoluzione verte sul nobile tema: “Coscienza europea e totalitarismo”. A guardare il messaggio manifesto, pare ci si voglia spiegare secondo quali bei principi si intende costruire lo spazio della “civiltà europea”. Ma in verità, grattando solo un po’, escono fuori gli interessi ben poco edificanti di chi vuole riscrivere la storia, limitare la ricerca scientifica e proibire certe opinioni politiche.
C’è infatti un’altra cosa che colpisce in quest’elenco di provvedimenti e Dichiarazioni di diritti fondamentali dell’uomo (puntualmente disattese): il riferimento alla decisione quadro del Consiglio d’Europa (28/11/2008), relativo alla “lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale”. Si tratta di una decisione che autorizza a punire penalmente chi, attraverso pubblicazioni e discorsi, incita all’odio contro lo straniero. Un encomiabile provvedimento, non c’è che dire. Ma che c’entra in questo contesto? Semplice: questo provvedimento, ed altri affini, servono come base giuridica per imbastire nei singoli paesi europei i processi contro chi fornisce un’altra versione della storia europea. Attenzione: non si tratta solo di colpire le schifose menzogne dei negazionisti! Attraverso un uso davvero spregiudicato del “reato d’opinione” si mira a restringere lo spazio delle cose che possono essere dette. Così criticare la politica dello Stato di Israele ci fa immediatamente diventare antisemiti, dunque razzisti, dunque condannabili. E riferirsi al comunismo ci fa immediatamente appartenere ad una supposta schiera demoniaca che predica l’odio e instaura dittature e gulag. Che nella “libera” UE, insomma, la censura diventi esplicita, passi in sentenza, dopo essere puntualmente in atto in ogni media ed in ogni istituzione accademica?
Una lettura delle considerazioni preliminari della Risoluzione ci conferma in quest’interpretazione: “Considerando che nessun organo o partito politico detiene il monopolio sull’interpretazione della storia… che le interpretazioni politiche ufficiali dei fatti storici non dovrebbero essere imposte attraverso decisioni a maggioranza… che un parlamento non può legiferare sul passato…”. Più che ipocrite, queste frasi rappresentano una curiosa, colpevole ammissione: negano ad alta voce esattamente ciò che sono impegnate a fare. Lo scopo della Risoluzione è infatti proprio quella di mettere dei paletti ben precisi alla storia europea, e condividerli in tutti i paesi attraverso una votazione. Bisogna infatti “porre le basi di una riconciliazione basata sulla verità e la memoria”.
Ecco un dato davvero inquietante: questo richiamo alla “verità”, quest’idea che possa essere imposta dall’alto. Viene da chiedersi: non è proprio quest’uso della Verità quello che storicamente i liberali hanno contestato ai regimi “totalitari”? In ogni caso ecco la nuova versione della storia europea: “l’integrazione… è stata una riposta alle sofferenze inflitte da due guerre mondiali e dalla tirannia nazista… e all’espansione dei regimi comunisti totalitari e non democratici dell’Europa centrale e orientale, nonché un mezzo per superare profonde divisioni… attraverso la cooperazione e l’integrazione, ponendo fine alle guerre e garantendo la democrazia”.
Davvero consolante, questa visione delle cose. Ma c’è da dubitarne: innanzitutto l‘integrazione, più che aspirazione umanistica, è stata ed è tuttora un fenomeno eminentemente economico e, attraverso la NATO e la costruzione dell’esercito Europeo, anche militare. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale quest’integrazione è servita a tutelare, in un’alleanza strategica, gli interessi delle borghesie dei singoli paesi occidentali – che si trattasse di commerciare carbone ed acciaio, o di sconfiggere le lotte sociali e le rivoluzioni al di qua della cortina di ferro (si pensi alla Grecia, in cui le forze anglo-americane intervennero negli anni ’40 per sconfiggere una rivoluzione vincente).
In secondo luogo, l’integrazione non ha assolutamente posto fine alle guerre in Europa: basti pensare alla Serbia ed al Kosovo, dove l’UE è andata allegramente a bombardare (ah già, ma loro non sono “europei”…). Se poi parliamo delle guerre nel mondo, quelle non hanno mai smesso di aumentare dalla caduta dell’URSS, e l’UE, costituitasi come vera potenza in un mondo “multipolare”, vi ha ben contribuito mandando i suoi soldati in Somalia, Afganistan, Iraq…
La storia della “democrazia garantita”, poi, rasenta il ridicolo: mentre qualche decennio fa la democratica Germania Ovest metteva il partito comunista fuori legge ed i servizi segreti italiani preparavano stragi e colpi di Stato, oggi l’UE blinda le sue frontiere, causando la morte di migliaia di migranti, e militarizza lo spazio interno, schierando i soldati nelle sue metropoli, reprimendo chiunque manifesti idee differenti dal neoliberismo imperante. Senza parlare di interi popoli, come quello basco, ancora oppressi, o del controllo pressoché monopolistico dell’informazione, ci sarebbe da chiedersi che voglia dire “democrazia” per questi signori, se non il procedimento formale dell’elezione, sul cui senso peraltro ci sarebbe parecchio da dire (dalla scarsa partecipazione alle varie leggi “truffa”, con soglie di sbarramento e premi di maggioranza…).
Così l’integrazione viene presentata come “modello di pace e riconciliazione”, “libera scelta dei popoli europei a impegnarsi per un futuro comune”. E poco importa che i suddetti popoli abbiano votato più volte NO alla Costituzione ed al Trattato europeo… Con l’UE non si scherza! E infatti, seguendo la dottrina bushiana della “prevenzione” e dell’“esportazione della democrazia”, il Parlamento dichiara che l’UE “ha una responsabilità particolare nel promuovere e salvaguardare la democrazia… sia all’interno che all’esterno del suo territorio”!
Ma veniamo al punto essenziale della Risoluzione: il rapporto dell’Europa con il “totalitarismo comunista”. Qui si esercita la propaganda più becera: sparisce dalla memoria europea il colonialismo e l’imperialismo, la feroce spartizione del mondo in nome del profitto che ha portato milioni di persone alla morte, alla fame, al sottosviluppo; sparisce l’immane carneficina prodotta proprio da quelle logiche di accumulazione e conflitto intercapitalista, ovvero la Prima Guerra Mondiale; spariscono le responsabilità delle potenze vincitrici che vollero affossare e punire la Germania di Weimar, generando così il nazismo; sparisce l’attacco delle forze polacche, francesi e inglesi contro la giovane Unione Sovietica per affossare la Rivoluzione… Si arriva così a chiedere di consacrare il 23 agosto, data del patto Molotov-Ribentropp, alla memoria delle vittime del totalitarismo. Come se la Seconda Guerra Mondiale e le sue vittime non fossero state prodotte da ben altri accordi, quelli “pubblici” di Monaco, dove Francia e Inghilterra appoggiarono le deliranti pretese di Hitler e quelli “privati”, per cui il Terzo Reich doveva essere salvaguardato in quanto baluardo contro il contagio comunista. Con buona pace della Repubblica spagnola, uscita vincente dalle elezioni, ma condannata dal non intervento di Francia e Inghilterra dopo il colpo di Stato nazifascista…
Tutto insomma accade come se da un lato ci fossero i buoni, l’“Europa pacifica e prospera, fondata sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto”, e dall’altro i cattivi, non democratici, comunisti, che inspiegabilmente però hanno goduto di un supporto popolare notevole, hanno sconfitto il nazifascismo, stabilizzato zone da secoli teatro di faide e rivolte, hanno permesso la modernizzazione e lo sviluppo, hanno lottato ovunque per la pace e l’estensione dei diritti in tutti i campi della vita collettiva.
Così, non soltanto gli scambi fra i regimi democratici e quelli “totalitari”, comprovati negli anni ’30 così come oggi, sono ignorati; non solo gli omicidi politici e le torture delle polizie “democratiche” occidentali non sono menzionate, non soltanto “gli eroi dell’epoca totalitaria” che ci si propone di commemorare sono spesso stati leader di formazioni filonaziste riciclate (si pensi ai paesi baltici, alla Croazia, alla Romania)… La cosa che nella Risoluzione colpisce è che tutta la complessità che si domanda all’analisi delle nostre società capitaliste, è negata a quelle del socialismo reale, contraddittori ma significativi esperimenti di democrazia effettiva, rappresentati come il regno dell’arbitrio di un pugno di esaltati, schiacciati sulle loro mancanze. Ma non è proprio una visione del mondo manichea quella che storicamente i liberali hanno contestato ai regimi “totalitari”?
Ancor di più, si assiste ad un’operazione di torsione del linguaggio che mira a stravolgere il senso stesso delle parole. Siccome il termine “comunista” non è ancora abbastanza squalificato, bisogna associarlo a qualcosa di terribile. Ecco come lavora l’ideologia: non solo al livello dei contenuti evidenti, ma sulle stesse forme espressive.
Allora si prende un termine oggettivamente squalificato come “totalitario” (saltando a piè pari sul fatto che questa definizione, secondo gli storici, è a malapena calzante per il nazismo e lo stalinismo), lo si associa con altri termini vicini, ma per nulla coincidenti e soprattutto vaghi, come “antidemocratico” e “autoritario”, e li si rende interscambiabili. Tutto ciò che non rientra nei canoni della democrazia borghese, è ipso facto diventato totalitario. I regimi dell’Est erano differenti dalla nostra democrazia, dunque erano totalitari – anche se si chiamavano “democrazie popolari” (strana ironia la loro, eh?). Ma questi regimi erano comunisti, dunque tutti i comunisti sono totalitari. E il totalitarismo è l’unica cosa che la democrazia non può tollerare. Dunque la democrazia non può tollerare il comunismo. E si deve impegnare affinché questo crimine non ritorni più.
Attraverso un uso ingiustificato e ripetitivo delle parole e delle loro associazioni, il “comunismo totalitario” è così inculcato, diventa materia non opinabile. Così, fra poco, ci dice ancora il documento, “un’Europa unificata celebrerà il 20° anniversario del crollo delle dittature comuniste”: si dà per scontato il festeggiamento, senza dire cosa ha comportato questo crollo, in termini di vite umane, di aumento della povertà, diminuzione dei diritti, emigrazione di milioni di uomini e donne, sacrificati allo sfruttamento ed alla prostituzione…
Bisogna comprendere che queste risoluzioni segnano un salto di qualità del revisionismo storico. Con l’equiparazione tra comunismo e nazismo (negata da qualsiasi storico serio, e da tutti i maggiori intellettuali europei del novecento, da Thomas Mann a Primo Levi), non si vogliono solo svilire gli ideali di chi ha combattuto per la giustizia e la libertà, né emarginare culturalmente e socialmente persone che hanno opinioni “scomode”. Si tratta di preparare le condizioni per la loro punizione, e di dissuaderli preventivamente a dichiarare le proprie idee. Queste operazioni ideologiche hanno insomma degli effetti concreti. Ispirando la pubblicazione di studi che si rovesceranno nelle università e nei manuali scolastici, utilizzando la Giornata della Memoria come spunto per violente campagne mediatiche, riscrivendo la storia d’Europa come conviene a chi vuole autolegittimarsi, si tenterà di togliere il terreno a chi lavora per una trasformazione dell’esistente.
Dietro la bandiera della lotta al “totalitarismo comunista” si cela quindi la lotta a qualsiasi forma di lotta sociale, di conflitto radicale, in nome di un presunto “equilibro” e di una “moderazione” funzionali alle esigenze del capitale. La criminalizzazione del comunismo coinvolge a largo spettro chiunque non nasconda il suo dissenso, lotti per la sua sopravvivenza, opponendosi ai licenziamenti, occupando una casa, una fabbrica, una facoltà, impedendo che si apra l’ennesima base militare o la discarica sotto casa. Mettendo fuori legge quella parola si mette fuori legge quello che quella parola vuol dire. E si inventano dei nemici, per dimenticarci quelli che abbiamo in casa. Utile, soprattutto in tempo di crisi.
In 1984 di George Orwell “l’eroe dell’epoca totalitaria” passava le sue giornate a rivedere i dizionari, a lavorare alacremente per far sparire certe parole, per creare una neolingua, ben epurata, che impedisse di pensare la dissidenza. Cancellava articoli di giornale, riscriveva la storia, perché “chi controlla il passato controlla il futuro”. Forse un regime capitalista non ha troppo bisogno di parate o di adunate: è tutto molto dispendioso. All’UE bastano le leggi di mercato, i media, la polizia, qualche intellettuale compiacente. Soprattutto, gli basta fabbricare ad arte l’ignoranza e la paura.