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Cancellare la Nakba in Israele?

30 Maggio 2009
 
 
Alcuni spunti sul significato del revisionismo storico e il ruolo dei movimenti
 
 
Il 26 maggio è stato pubblicato, su “Il manifesto”, l’articolo “Nakba vietata e patto di lealtà, parte il panzer Lieberman”.
L’articolo sottopone all’attenzione dei lettori la deriva sempre più
autoritaria e razzista del nuovo governo israeliano, nato dall’accordo
tra il Likud
del premier israeliano Benyamin Netanyahu e il partito di
estrema destra Yisrael Beitenu
guidato dall’ultranazionalista Avigdor
Lieberman (ora Ministro degli esteri).

 

Il giornalista si sofferma, in particolare, su
due proposte di legge che renderebbero, se accettate, qualsiasi
celebrazione della Nakba
(la Catastrofe) del popolo palestinese “un
reato
”. Il solo ricordo della cacciata di milioni di palestinesi dalla
propria terra ad opera del neo-nato Stato d’Israele nel 1948 sarebbe
punibile con la reclusione fino a tre anni
; sarebbero imposti a tutti i
cittadini israeliani il servizio militare o civile obbligatorio

(attualmente migliaia di arabo-israeliani non prestano servizio di
leva) e un giuramento di fedeltà allo “Stato ebraico, democratico e
sionista, ai suoi simboli e valori
”. Chi non fosse disposto a
sottoscrivere questo “atto di fede” ad Israele, incorrerebbe nella
perdita della cittadinanza.
 
Ancora una volta, quindi, si riscrive la
storia.
Si riscrive perché chi ha il potere ha sempre bisogno di
trovare una legittimazione, anche e soprattutto a danno di chi reclama
giustizia, di chi, come il popolo palestinese, reclama il diritto
all’esistenza. I decreti israeliani, se approvati, toglieranno anche
quel minimo spazio di agibilità politica ai cittadini israeliani che
coraggiosamente criticano il proprio governo, che vedono nel sionismo
non un ideale al quale prestare giuramento, ma un’ideologia razzista e
guerrafondaia in nome della quale milioni di Palestinesi sono stati
aggrediti e perseguitati.
Dove andrà a finire quest’altra storia? Chi
dovrà raccontarla?
 
A fronte di questo tentativo di cancellare il
ricordo della ferocia con la quale è stato edificato lo stato di
Israele, ancora una volta, fuori da quelle terre martoriate, il
silenzio è assordante…
Non stupisce, in tal senso, che la prima
visita ufficiale all’estero di Lieberman sia stata in Italia: il
Ministro israeliano, a giusta ragione, sa di trovare nel nostro
Parlamento chi lavora sistematicamente da decenni per rimuovere il
portato conflittuale del passato
, equiparando ad esempio partigiani e
repubblichini di Salò. Cancellare la memoria delle offese e delle
lotte, sminuire le Resistenze: è una vecchia ed efficace strategia,
vecchia almeno quanto lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, efficace in
qualsiasi parte del mondo…
 
Così, mentre dall’altra parte del Mediterraneo
Israele si riconferma all’avanguardia non solo nella gestione
repressiva e violenta del presente, ma anche nel controllo del passato,
in Italia si orchestrano vere e proprie campagne di marketing per
“ristabilire la verità sulle foibe”, si tace sui massacri fascisti in
Etiopia, in Albania, in Grecia, si snatura il 25 aprile facendone una
squallida imitazione del 2 giugno, si riscatta addirittura la parola
“revisionista” (cfr. l’ultimo libro di Pansa). Che cosa è più utile a
chi governa, se non una massa sorda alle verità del passato, accecata e
disarmata di fronte alla miseria e all’oppressione, pronta a marciare
“ognun per sé”, certa che “non gli riguarda”, che “non toccherà mai a
loro”?
 
È in questa chiave che dobbiamo leggere oggi
l’internazionalismo, l’antifascismo:
non è un caso che il Fronte
Popolare per la Liberazione della Palestina inviti chi tiene a cuore la
causa palestinese a combattere “contro l’imperialismo di casa propria”,
a contrastare quotidianamente chi permette che Israele esista come
entità razzista ed escludente un intero popolo.
Quando parliamo della
necessità di fare “di ogni spazio sociale – scuole, università, luoghi
di lavoro, piazze – un luogo di lotta e controinformazione” non
intendiamo una semplice testimonianza, ma un intervento attivo, in nome
di un progetto complessivo di emancipazione, che contrasti ogni deriva
securitaria, xenofoba, sessista in atto nel nostro paese. Cercando ad
esempio di rendere le nostre facoltà un luogo di confronto, un luogo in
cui si faccia una ricerca critica, e non il luogo in cui si ripetono
menzogne e si preparano lavoratori ben disciplinati ed omologati,
spettatori assuefatti alle ingiustizie del mondo.
 
Lottare contro la cancellazione della memoria
storica non significa infatti restare legati ad un “passato mitico”
,
come qualcuno strumentalmente dichiara. Significa invece recuperare il
significato storico delle lotte di resistenza, il ruolo progressista e
rivoluzionario che le classi subalterne hanno recitato nella storia
contro la conservazione, contro il potere, fedele solo a se stesso ad
al suo mantenimento.
Chi non ha mai avuto niente da perdere, se non le
proprie catene, ha cambiato il mondo; e noi che oggi ci ripromettiamo
di continuare su quella strada abbiamo il dovere di contrastare chi
cerca di cancellare la verità.
 
È per questo che dal 3 al 5 a Palazzo Giusso,
Università Orientale, ospiteremo anche noi una mostra sulla questione
palestinese dalla Nakba ad oggi, corredata da alcuni banchetti di
controinformazione dove si potranno reperire analisi e materiali
“alternativi” alla storiografia sionista ed alla chiacchiera
televisiva. Questa mostra, curata da un comitato cittadino, sta girando
da settimane per facoltà e centri sociali, e rappresenta l’occasione
per una riflessione critica, un megafono per la flebile voce di un
popolo martoriato…
 
Perché quella voce scuota le nostre coscienze, e non ci parli di ingiustizie lontane, ma di un solo nemico, che è dappertutto.
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