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17/12> incontro/dibattito a un anno dall’operazione “piombo fuso” a Gaza… Con la Palestina nel cuore!

14 Dicembre 2009

 
 
 
 
 
 
 
Palestina: un genocidio a due velocità

Morire di guerra e morire di pace nella striscia di Gaza
a cura del Collettivo Autorganizzato Universitario



 
introduzione al lavoro

Per 21 giorni, fra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, la terra palestinese ha tremato. Ha tremato più forte di quanto già accade ogni giorno. Mentre qui in Italia e in tutto l’Occidente godevamo il riposo delle vacanze natalizie, stavamo per festeggiare l’anno nuovo, Israele decideva di avviare a Gaza l’operazione “Piombo Fuso”. Un’operazione militare devastante, che in pochissimo tempo causerà quasi 1500 morti e 5000 feriti nella popolazione palestinese. La cronaca di quelle tre settimane è un’escalation di violenza e brutalità nei confronti di un popolo che da 61 anni non ha una sua terra, da 61 anni è costretto a vivere in una prigione a cielo aperto, in uno stato di guerra permanente e di stenti. Un popolo a cui da 61 anni viene negato il diritto di vivere e di scegliere il proprio futuro.

L’obbiettivo dichiarato della campagna militare lanciata dalle forze israeliane è stato “colpire duramente l’amministrazione di Hamas al fine di generare una situazione di migliore sicurezza intorno alla Striscia di Gaza, attraverso un rafforzamento della calma e una diminuzione dei lanci dei razzi”. Una motivazione che, al di là dei giudizi di merito su Hamas, partito legittimamente eletto dal popolo, appare tanto faziosa quanto falsa. Non riflette assolutamente il vero intento dell’attacco e le reali motivazioni.

 

Un solo piccolo dato è rivelatore: i missili Qassam hanno causato negli ultimi otto anni 15 morti fra la popolazione israeliana… Negli stessi anni, senza nemmeno contare le migliaia di morti della Seconda Intifada, centinaia di palestinesi sono stati uccisi dai soldati israeliani, si sono spenti per le rappresaglie, gli stenti, le malattie, il sottosviluppo. Soltanto un’altra operazione israeliana, denominata “Inverno Caldo” (ben presto dimenticata davanti all’orrore dell’ultima aggressione), fece, fra il 29 febbraio e il 6 marzo 2008, più di cento vittime. In ogni caso “Piombo Fuso” ha prodotto in sole tre settimane cento volte più vittime e danni di otto anni di lancio di missili. Una sproporzione nei mezzi e nei motivi, una brutalità e scientificità della devastazione che non possono assolutamente essere giustificabili né giustificati con l’appello alla “legittima difesa” ed alla sicurezza di Israele. In realtà, Israele non è “a rischio”, Israele è il rischio, per la pace in Medioriente, per la sopravvivenza dei palestinesi.

 

“Piombo Fuso” ha rappresentato un salto di qualità nella quotidiana politica di assedio e di apartheid nei confronti dei palestinesi, causando danni che purtroppo non si possono e non si devono ridurre al numero delle vittime. Significherebbe colpevolmente sottostimare la proporzione e gli intenti dell’azione dell’esercito israeliano, condannarsi a piangere e non comprendere.

 

Dinanzi a tutto ciò, cosa facevano i nostri governi, i nostri politici, mentre festeggiavano il “Santo Natale”? Erano in prima fila a “chiudere i rubinetti” dell’accesso ai medicinali e ai beni di prima necessità al valico di Rafah. Infatti, da “brava gente” quale siamo, invece di protestare e mandare aiuti, abbiamo mandato i carabinieri ad aiutare l’esercito sionista, e i politici a sostenere il suo governo. D’altronde l’imperialismo europeo e quello statunitense, accompagnati dai regimi arabi collaborazionisti, e da tutti i lacchè che colpevolmente si dichiarano “equidistanti”, erano lì, al fianco di Israele, per fornirgli legittimità e armi di distruzione di massa.

 

Nel frattempo, mentre si faceva a gara a togliere dagli schermi televisivi le immagini della barbarie a Gaza, con il mondo immobile a guardare, con le polizie arabe impegnate a sedare col manganello il malcontento dei fratelli in rivolta, la società civile, le comunità di migranti, le organizzazioni politiche si mobilitavano. Il 17 gennaio 2009 un corteo autorganizzato di 100.000 persone attraversa le strade di Roma, al grido di “Palestina Libera!”. Provando così a dare voce a chi non ha voce, a chi lotta ogni giorno rischiando la vita, cercando di portare il dolore e la rabbia dei palestinesi nelle nostre strade, contro i nostri governi complici. Per non considerare la loro situazione solo come una sventura della sorte o un caso umanitario a cui prestare soccorso…

 

Portare solidarietà al popolo palestinese ha così voluto dire anche cercare di colpire l’imperialismo per alleggerire la sua offensiva, bloccando i rifornimenti di armi, boicottando gli accordi economici dei nostri Stati con Israele, la ricerca scientifica delle nostre università che rinforza l’esercito sionista. A Londra gli studenti hanno occupato le università , in Grecia il movimento ha risposto all’appello dei compagni del FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) che chiedevano di bloccare la partenza dal porto di Askatos di navi cariche di armi che avrebbero dovuto rifornire l’esercito israeliano…

 

Abbiamo cercato in questi mesi di continuare la lotta, fare controinformazione, tenere i riflettori ben accesi sulla sofferenza e la dignità di quel popolo. Poi, a quasi un anno dall’attacco a Gaza, il 16 ottobre 2009, l’ONU ha approvato il Rapporto Goldstone: un’inchiesta che punto per punto testimonia, dati alla mano, la carneficina di Gaza. L’Italia, in combutta con gli Stati Uniti, ha boicottato questo rapporto; le televisioni non ne hanno praticamente parlato. Ma dare diffusione ai contenuti del Rapporto Goldstone, come noi cerchiamo di fare con il piccolo contributo di quest’opuscolo, può essere ancora una volta l’occasione per parlare di Palestina, di Resistenza, di solidarietà. Non ci illudiamo che un rapporto delle Nazioni Unite possa essere esaustivo o imparziale. Ripartiamo da Goldstone per parlare della devastazione di una terra sulla quale ancora una volta media e politici nostrani hanno taciuto. Ripartiamo da Goldstone perché ogni sasso che può farci avvicinare alla vittoria va afferrato e scagliato con forza.

 

La posta in gioco è la memoria storica, su cui si fonda ogni possibilità di sconfiggere l’ingiustizia. Come ci ricorda ironicamente Uri Avnery:

 

«“Quasi 70 anni fa, durante la Seconda Guerra Mondiale, un ignobile crimine fu commesso nella città di Leningrado. Per più di mille giorni, una banda di estremisti chiamata l’Armata Rossa tenne milioni di abitanti della città in ostaggio e provocò la rappresaglia da parte della Wehrmacht tedesca dall’interno dei centri abitati. I tedeschi non ebbero altra alternativa se non quella di bombardare la popolazione e di imporre il blocco totale, che causò la morte di centinaia di migliaia di persone. Qualche tempo prima di ciò, un crimine simile fu compiuto in Inghilterra. La banda di Churchill si nascose in mezzo alla popolazione di Londra, usando milioni di cittadini come scudi umani. I tedeschi furono costretti a mandare la loro Luftwaffe e a malincuore ridurre la città in rovina. Lo chiamarono il Blitz”… Questa è la descrizione che apparirebbe ora nei libri di storia, se i tedeschi avessero vinto la guerra. Assurdo? Non più delle quotidiane descrizioni, ripetute alla nausea, dei nostri media: i terroristi di Hamas usano gli abitanti di Gaza come “ostaggi” e sfruttano le donne e i bambini come “scudi umani”, non ci lasciano altra alternativa che effettuare massicci bombardamenti, in cui con nostro grande dolore, migliaia di donne, bambini e uomini disarmati sono uccisi».

 

Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli
novembre 2009

 
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