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Ancora omicidi bianchi alle raffinerie Saras… basta morti sul lavoro in Sardigna e dovunque!

27 Maggio 2009
Nella tarda mattinata del 26 Maggio, presso le raffinerie Saras di Sarroch (Ca), si è consumata l’ennesima “strage bianca” che ha visto coinvolti quattro lavoratori. Tre di questi sono morti: uno di loro era entrato all’interno di una cisterna d’azoto per effettuare un’opera di manutenzione. Ben presto si odono urla strazianti e gli altri tre compagni di lavoro si precipitano per trarre in salvo il collega. Solo uno di questi si salverà svenendo e cadendo dalla scala che conduce in cima alla cisterna.



Questi operai non erano alle dirette dipendenze della morattiana Saras, ma facevano capo a quell’esercito di lavoratori delle ditte appaltatrici esterne che hanno la precisa funzione di abbassare ulteriormente il costo del lavoro, grazie a forme contrattuali a dir poco precarie e sottopagate, con turni di lavoro solitamente di 13 ore. Subito la produzione della terza raffineria più grande d’Europa si arresta. Gli operai, fin dalle prime luci dell’alba del giorno seguente, si radunano fuori ai cancelli degli stabilimenti, quelli Saras proclamando uno sciopero di 8 ore, quelli delle ditte esterne uno di 48.


Queste ultime morti sul lavoro (che presso le raffinerie di Sarroch hanno luogo con una cadenza annuale) giungono a distanza di pochi giorni da altre avvenute nel cagliaritano, uno degli ultimi territori della Sardegna ancora a vocazione industriale.
 
Il clima di depressione economica della Sardegna (e in particolare di questi territori) si può comprendere appieno dal fatto che i giovani degli ex paesi minerari del Sulcis e dell’Iglesiente, circa un anno e mezzo fa, salutarono con grande entusiasmo la riapertura di alcuni insediamenti estrattivi nei loro comuni. Questi erano stati chiusi almeno trent’anni prima, poiché da sempre considerati “tombe” di intere generazioni di proletari. Alla chiusura di tali insediamenti seguì un gigantesco flusso migratorio verso il “continente” tutt’oggi inarrestato.
 

A morire di sfruttamento e di oppressione in queste terre dimenticate da tutti (neanche i turisti sembrano considerarle più di tanto!) sono sempre i giovani sardi. I padroni delle imprese che li sfruttano, invece, sono nella maggior parte dei casi italiani, interessati solo a profitti sempre crescenti, in barba alle vite di queste persone e alla salute del loro territorio. Questo continua ad essere ferito e intossicato dai veleni delle raffinerie, dei giacimenti minerari e, dulcis in fundo, dall’incredibile quantità di basi militari e di poligoni degli eserciti italiano, statunitense e NATO.


I compagni Sardi da tanti anni denunciano il rapporto di tipo coloniale che intercorre fra l’Italia e la Sardegna; rivendicano, pagando con carcere e repressione dello stato, il loro diritto all’autodeterminazione (liberandosi delle servitù militari dell’imperialismo italiano, europeo e nordamericano); chiedono che si ponga fine alla rapina delle loro risorse, all’immiserimento di chi decide di restare e all’esodo di chi per sopravvivere parte.

Per noi tutti questi “omicidi bianchi” fanno parte a pieno titolo del prezzo quotidiano che il popolo sardo paga, tra tumori e leucemie causati dall’uranio impoverito, alla voracità dei padroni italiani e alla fame di morte e distruzione degli eserciti dell’imperialismo.


BASTA OMICIDI BIANCHI!
PER L’AUTODETERMINAZIONE DEL POPOLO SARDO E DI TUTTI I POPOLI OPPRESSI!


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Clash City Workers
Rete dottorandi e ricercatori – Napoli
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