Qualche nota sulla politica della CRUI e sulla lettera di Decleva al ministro Gelmini
29 Luglio 2009
Pare proprio che il dibattito sull’università abbia nell’estate il suo periodo “caldo”. Già l’anno scorso fu il mese di luglio ad ospitare una serie di interventi da parte del ministro Gelmini, del ministro Tremonti, della CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), di “rinomati” opinionisti, ecc.. Materia della disputa (solo verbale, si badi bene!) era la proposta del governo di avviare una trasformazione del mondo universitario attraverso la scure dei tagli ai finanziamenti. La “communitas” universitaria insorse e presunti intellettuali si schierarono chi a favore del potere centrale del governo, chi a favore di quello locale dei rettori. La CRUI giocò allora un ruolo di primo piano, diffondendo la minaccia di ricorrere a tutte le armi in suo possesso pur di non far passare il provvedimento. Addirittura si minacciò il blocco dell’anno accademico.
È passato un anno e possiamo dare uno sguardo al passato per cercare di capirci qualcosa di più in vista del prossimo inizio dei corsi: le minacce dei rettori si sono dimostrate, alla prova dei fatti, semplici parole al vento, magari urlate, ma pur sempre solo parole. Nessun blocco dell’anno accademico, nessuna protesta degna di questo nome, ma lunghe trattative col governo per cercare di ottenere minuscoli vantaggi, gentili elargizioni di misere briciole.
Per non parlare della mancanza di interesse per tutto ciò che università non è. I tagli erano inseriti in un provvedimento molto ampio che toccava praticamente tutti i settori della società: e cosa hanno fatto i nostri bei rettori, dall’alto della loro statura intellettuale e morale? Semplicemente se ne sono infischiati e se hanno chiesto qualcosa lo hanno chiesto solo per sé, esigendo, ad esempio, lo stralcio degli articoli che toccavano l’università (senza naturalmente ottenerlo)!
Pare che quest’anno la storia si stia ripetendo, ma con qualche sensibile variazione sul tema. La pubblicazione sulla stampa della classifica delle università italiane ha suscitato sdegnate reazioni da parte dei rettori che hanno visto il proprio ateneo nella lista dei “bocciati”. Ancora una volta qualcuno ha alzato la voce, ma quest’anno il fronte dei rettori appare spaccato. I “promossi” hanno infatti esultato per i risultati conseguiti. La classifica serve infatti a separare gli atenei “virtuosi” da quelli che non lo sono: ai primi andranno più fondi, ai secondi saranno invece tagliati. Quest’anno infatti, il 7% del finanziamento sarà attribuito in base al celeberrimo “merito”, di cui tanto si discusse durante l’ultimo autunno.
In questo contesto si inserisce anche la lettera che Decleva, presidente della CRUI, ha spedito al ministro Gelmini. Cosa va a contestare il “capo” dei rettori? Non certo il meccanismo di fondo, non l’impostazione complessiva, non il criterio meritocratico. Non si torna nemmeno a contestare i tagli! Il più grande sconcerto di Decleva e degli altri rettori non è dovuto mica a queste banalità: “[…] quello che ha maggiormente sconcertato […] i rettori delle università per le quali si prevedono riduzioni è, più del fatto in sé, il modo con il quale è loro toccato di apprendere le percentuali di competenza: non tramite una comunicazione formale e istituzionale […] ma dai giornali”!
E la lettera continua chiedendo di rivedere qua e là i criteri finora utilizzati, di dare immediato slancio ai nuovi che si era convenuto di adoperare, ecc. ecc.. Insomma, i rettori si pongono nel solco della gestione dell’ordine esistente, qualsiasi esso sia. Non hanno neanche la pretesa di pensare (non diciamo di realizzare!) un’università diversa da quella che vien fuori dai provvedimenti governativi e dall’applicazione delle misure previste dal Processo di Bologna.
Di fronte ad un tale deserto, dobbiamo avere chiaro che dai rettori non può arrivare niente. Ancora una volta si dimostrano incapaci di andare al di là di vuoti piagnistei e formule di rito.
A loro, responsabili dello scaricamento dei tagli del passato e del presente sulla pelle di studenti e lavoratori, con l’adozione di tasse universitarie sempre più alte e con l’esternalizzazione dei servizi (ci fermiamo qui, ma l’elenco dei loro misfatti richiederebbe ben altro spazio!), deve essere chiaro che non potranno usare il movimento studentesco come un elemento di pressione per salvare qualche posizione o qualche miope interesse. Deve esser loro chiaro che saranno travolti dalla prossima mobilitazione studentesca, come tutti i responsabili dello stato in cui versa il sistema formativo!
Categorie:scuola e università